Quando babbo decise di trasferire la famiglia in città, non conosceva la locuzione “classe dirigente” ma ne aveva un’idea ben chiara e voleva che i suoi figli lo diventassero a pieno titolo.
Per questo motivo non acquistò abitazioni nel contado o casa campidanese a Pirri ma comprò un grande e modernissimo appartamento con cucina, salone, quattro camere ampie, garage, cantina. C’era persino la portinaia e i fiori nelle scale.
Lui, quando entrava in casa, lasciava le scarpe nell’ingresso e indossava pantofole per evitare di impiastrare col fango la cera del pavimento.
Il riscaldamento non lo volle, no. Primo perché non sapevamo cosa fosse e poi perché, ad una prima spiegazione, appariva una roba un po’ troppo pericolosa per l’incolumità familiare.
Dimenticavo.
Ciò che maggiormente ci creò problemi furono i due bagni e i doppi servizi nei quali c’erano gli attacchi per la lavatrice.
Però l’idea della lavatrice gli sembrava bellissima: l’aveva vista in un film con Cary Grant e questo bastava e avanzava. Quindi la acquistò assieme a frigorifero e freezer. La televisione no. A quella si rassegnò solo dopo qualche anno.
I bagni però c’erano. E occorreva cercare di comprenderne il recondito funzionamento.
Prima invenzione: il cesso, oggetto misterioso.
Infatti, in paese noi, che eravamo anche un po’ privilegiati, facevamo i nostri bisogni nella stalla, invece che in campagna, dove alloggiavano cavallo e maiale.
E occorreva combattere con queste due bestie per trovare una location idonea ad evitare leccate e colpi di coda (nel senso letterale del termine).
La pietra crespa con la quale ripulirsi dopo aver fatto i bisogni corporali l’avevamo sostituita con i foglietti del giornale tagliati e misura con le forbici e appesi tutti insieme a un chiodo sulla porta della stalla.
Poi c’era un altro arredo in ceramica simile al water che era davvero incomprensibile.
Quindi il bagno e la doccia.
Mamma, che aveva mente raffinata, si vergognava di chiedere spiegazioni all’impresario per evitare che fossimo considerati dei neanderthal.
Quindi recuperò una sua lontana parente che studiava medicina a Cagliari ed era arrivata qualche anno prima in un convitto femminile.
Lei ci spiegò tutto, raccontando che in città non solo ci si poteva accomodare serenamente sul water ma che addirittura la “classe dirigente” teneva molto all’igiene intima e dopo aver espletato i propri bisogni utilizzava per lavarsi un simil water col rubinetto che si chiamava bidet senza pronunciare però la t.
Capito tutto, mamma ci fece alcune lezioni teoriche sperando che noi riuscissimo a fare pratica da soli.
Ci fu un secondo problema.
Utilizzare i ritagli dei vecchi giornali sarebbe stato disdicevole.
Fossero arrivati in casa ospiti cittadini o magari compagni di scuola che figura ci avremmo fatto?
E quindi la futura medico ci suggerì di acquistare una roba dal nome complicato: carta igienica.
Oltre all’appartamento, babbo aveva comprato al piano terreno un altro ampio locale per evitare che venisse acquistato da qualcuno che lo avrebbe potuto trasformare in una peccaminosa sala da ballo.
Babbo, quindi, inventò – credo prima di Caprotti – il market, modernizzando il vecchio concetto di bazar paesano.
Ma non lo gestì mai perché nella sua idea la “classe dirigente”, sa zente arta, non gestiva botteghe.
Quindi mamma andò dalla nostra inquilina bottegaia per chiederle la famosa carta igienica.
Guardò il rotolo e cercò di comprenderne il funzionamento.
La locataria, che evidentemente non dormiva alla cassa, capì l’imbarazzo e le spiegò che occorreva staccare dei foglietti, ma non solo uno, un bel po’, per evitare l’effetto “impiastro” sulle mani.
Ad usare il cesso in modo corretto ci mettemmo circa un mesetto.
E quando babbo vide che tutto funzionava alla perfezione aumentò le quotazioni sulla possibilità che noi diventassimo classe dirigente.
Cosa che avvenne in tempi molto più rapidi del previsto con sua grande soddisfazione.
La locuzione non la imparò mai, ma in cuor suo fu ben felice del fatto che fossimo diventati “zente arta”.
E quando ne ebbe la consapevolezza comprò persino la lavastoviglie.
Antonangelo Liori (Pastore di Aristan)
“Prima invenzione: il cesso, oggetto misterioso. Infatti, in paese noi, che eravamo anche un po’ privilegiati, facevamo i nostri bisogni nella stalla, invece che in campagna, dove alloggiavano cavallo e maiale.” Da LA SCOPERTA DEL CESSO – Editoriale di Antonangelo Liori (Pastore di Aristan)



